sabato 7 settembre 2013

Quello che la redazione de Il Visentin non vuole farvi leggere


Quella che segue è la versione originale di un mio pezzo pubblicato su Il Visentin, "fanzine" di politica, cultura e altre cose belle edita e distribuita in Vicenza (esatto, oggi puntualizzo).
I motivi per cui penso dovreste leggerla sono sostanzialmente tre: in primo luogo, è un racconto estivo - e l'estate sta finendo; c'è poi una mia traduzione libera da Alan Moore che troverete senz'altro ispirante; in fondo, avete davvero qualcosa di meglio da fare?


Antefatto

Qualche tempo fa, stanco dell'afa padovana e bisognoso di una tregua dalle prodezze alcoliche tipiche dell'estate, avevo deciso di accettare la proposta di accompagnare mio fratello, un personaggio decisamente improbabile, ad un corso di illustrazione per l'infanzia che si sarebbe tenuto da qualche parte nella marca trevigiana. Ovviamente non avrei partecipato al corso: l'intenzione era quella di approfittare di questa settimana di solitudine per preparare in santa pace un grosso esame dell'università.
Arrivato a Casa Castelìr, la locanda in cui avevamo scelto di alloggiare, individuai subito in essa le caratteristiche che si ricercano in un luogo in cui si voglia studiare: silenzio, clima mite, wifi gratuito, ampi spazi, ottimi pasti serviti quando lo si desidera, lontananza chilometrica da qualsiasi tipo di distrazione offerta dalla modernità e, per finire, una deliziosa terrazza sulla quale sembrava soffiare una brezza perenne. Scoprii inoltre che tutti gli altri ospiti erano iscritti al corso di illustrazione: avrei quindi condiviso la quiete delle giornate a Casa Castelìr con la sola locandiera, una donna semplice e gentile che aveva lavorato la terra per metà della sua vita e, per l'altra metà, si era dedicata alla cura dei suoi ospiti.
Era naturale aspettarsi che questa condizione idilliaca venisse turbata dalle tecno-forze del caos: queste, agendo attraverso la bestia arcana conosciuta col nome di Stelvaggio, mi proposero un incarico “che non avrei potuto rifiutare”. Mi chiesero, in sostanza, di scrivere un breve pezzo per il primissimo numero di una fottuta fanzine. Il tema: la graphic novel.
Inutile dire che rifiutai e, subito, mi tuffai a capofitto sui libri, in un mondo bizzarro fatto di molle, dischi rotanti e altre diavolerie assortite.


Cal dei Morti

Dopo due giorni di studio intenso, scanditi dalla Regola Silvana*, il mio cervello è pressoché fuso. Al risveglio del terzo giorno decido di spendere la mattinata per recarmi in paese a rifornirmi di beni di prima necessità: giornali, deodorante e rasoio, birre. Approfitto di un passaggio in macchina offertomi dalla locandiera per farmi scaricare nella piazza di Sarmede che, come da tradizione, è stata trasformata in una gloriosa rotatoria.
Con la calma del caso comincio il breve tour dei negozi, acquistando, nell'ordine:
  • un set di colori primari di tempere Talens, una grafite 4B ed un temperamatite per quell'artistoide di mio fratello, nel pittoresco negozio di colori che si affaccia proprio sulla piazza;
  • tre birre al caseificio/alimentari, dove ho l'occasione di scambiare qualche battuta con la formaggiara, una donna paffuta ed ilare che risponde ridendo alle mie richieste di indicazioni;
  • La Stampa e il Topolino all'edicola del paese, dopo essermi sincerato del fatto che l'Unità arriva, “ma solo una copia ed è già andata via, mi dispiace”;
  • un tagliaunghie, dei rasoi usa e getta Bic (anche detti “un errore da dilettanti”), il più piccolo barattolo di schiuma da barba, un deodorante stick ed uno shampoo antiforfora: tutto ciò in uno di quei negozi stile Acqua & Sapone, dove un flirt con la commessa mi è negato dalla presenza della figlia (dotata di pattini a rotelle).
Con questo ricco bottino imbustato in un sacchetto di plastica fieramente anti-ecologica, decido che è giunta l'ora di tornare a casa. Comincia a fare caldo e mi aspetta una camminata che se non si può dire lunga, di certo non è breve.
Dopo esser tornato in piazza e aver consultato la segnaletica verticale, mi avvio verso Rugolo seguendo la provinciale. Quattro passi e sono già ai margini del paese. Per scrupolo, scorto un vecchio intento a cazzeggiare in maniera senile**, mi fermo e gli domando se sto andando nella direzione giusta.
Scusi, vado bene per Rugolo?
Certo, le basta seguire la strada. Sulla provinciale però stanno facendo i lavori, quindi ad un certo punto dovrà prendere la deviazione... Così allungherà un po'.
Non si passa neanche a piedi?
Be', forse sì. Non lo so, può provare.
Capisco, la ringrazio.
Prego.
 Poi, dopo una breve pausa:
A dire il vero, ci sarebbe una scorciatoia. Ma non conoscendola...
Quasi quasi la provo... Dove si prende?
Deve girare alla prossima a destra. Continua dritto, finché non arriva ad una specie di ciesòl e lì la vede. È una strada sterrata, molto ripida, praticamente un sentiero... Risparmia almeno un chilometro.
Capito... Vado, buona giornata.
Si chiama la cal dei morti... Saluti!
Riprendo a camminare, chiedendomi cosa sia un “ciesòl” e se sia tipico di questa zona chiamare i sentieri “calli” (termine che, inevitabilmente, evoca nella mia mente la città di Venezia). Devio dalla provinciale e attraverso l'ultima contrada di Sarmede: qui pare che per ogni giardino ci sia almeno un cane. La strada scavalca un ruscello sulla riva del quale, sotto un salice, si trova una panchina di legno affiancata da un cartello con su scritto “privato”: per qualche motivo, la cosa mi fa sorridere. Provo a scattare una foto col mio preistorico BlackBerry ma, come sempre, non riesco a catturare l'immagine che vorrei. Vagamente deluso, proseguo.
Poi me lo trovo di fronte. Il ciesòl non è altro che un capitello; pochi metri più in là un sentiero si inerpica lungo la china della collina. Quasi mi stupisco quando mi accorgo che, semicoperto dalla vegetazione, c'è un cartello col nome della strada. Dice: “Via Calle dei Morti”.


UDC a.k.a. Una Degna Conclusione

A questo punto dovrebbe seguire l'avvincente racconto della breve ma significativa avventura che mi vede protagonista del maldestro tentativo di tornare a casa per la cal dei morti. Un racconto a base di pecore, bivi ai quali si è sempre fatta la scelta sbagliata, boschi di ulivi, mostri d'acciaio giganti, birre, conigli di peluche sfregiati dagli uccelli e lucertole divorate dalle formiche. E ancora: cani randagi, giornalisti sovrappeso e una chiesa di paese. Piazza Zavřel. I matti. Folletti, fate e fanfare. Uno strano mash-up tra Cavour, Camus e Gramsci.
Sarebbe un bel racconto, probabilmente, ma ho deciso che non è per voi... PEZZI DI MERDA!

Invece adesso vi cuccate la definizione di “graphic novel” secondo Alan Moore:


È un termine di marketing. Non mi è mai piaciuto. Per quanto mi riguarda, preferisco il termine “comic” […] Il problema è che “graphic novel” è diventato un sinonimo di “fumetto costoso” e il risultato è che gente tipo Marvel e DC Comics ha cominciato a infilare in una sfavillante cover cartonata gli ultimi sei numeri di qualsiasi cazzata stesse pubblicando, intitolandola poi The She-Hulk Graphic Novel, capito? Credo sia stata questa tendenza a distruggere qualsiasi progresso fosse stato fatto attorno alla metà degli anni ottanta.


E se non volete fidarvi di Alan Moore, che ha scritto più graphic novel di quante ne leggerete mai nella vostra vita, be' allora potete allegramente fottervi.



Note 
* si tratta dell'equazione s1+s2=24-(c+b), dove s1 e s2 indicano le ore di sonno e studio, mentre c e b sono i parametri (dipendenti dall'individuo) relativi al tempo impiegato per i pasti e in bagno. Il lettore che abbia completato la scuola dell'obbligo si accorgerà del fatto che la Regola Silvana può essere riscritta come s1+s2=a, riducendo il numero dei parametri, con a=24-(c+b); essa dunque porge come soluzioni i punti del segmento AB del piano (s1,s2), con A=(0,a) e B=(a,0).
** il cazzeggio alla maniera senile si distingue facilmente dal cazzeggio alla maniera dello studente universitario (al quale alcuni di voi sono probabilmente avvezzi e di cui, senza falsa modestia, mi considero un gran maestro): la differenza sta nel fatto che mentre negli occhi del giovane cazzeggiatore spesso si intravvede l'opaco riflesso di un senso di colpa latente, il vecchio cazzeggiatore è assolutamente sereno.