martedì 18 novembre 2008

Simulazione di prima prova by Federico "Vecchio Volpone" Danieli

Courtesy of Federico Danieli.

Tipologia B1, ambito storico-politico.
Titolo: "Quanto la Seconda Rivoluzione Industriale abbia contribuito a migliorare le nostre società."
Voto: 9,5 decimi - 14,5 quindicesimi

Siamo negli ultimi decenni del XIX sec, quando si innesca un processo destinato a cambiare radicalmente la nostra società, modificandone gli usi, le abitudini, e il concetto stesso: la Seconda Rivoluzione Industriale.
Essa prende avvio da una serie di innovazioni in ambito scientifico-tecnologico, che trovano una vasta accoglienza nel settore industriale: è in questo periodo, difatti, che l'acciaio inizia a soppiantare il ferro, che le scoperte della chimica portano notevoli progressi (ad esempio mediante l'uso di coloranti e additivi), e che l'elettricità arriva perfino all'interno delle città e delle singole case.
A ciò si somma un ulteriore perfezionamento nel sistema di trasporti, sia ferroviari che marittimi, il quale permette un diffondersi capillare di merci a basso costo. Il tutto portò, quindi, un repentino miglioramento del tenore di vita (come testimonia l'alzarsi, in quegli anni, dell'aspettativa di vita media), e una ventata di ottimismo, realizzatosi in filosofie quali il positivismo: si apriva un'era nella quale il progresso scientifico avrebbe portato l'umanità a raggiungere la felicità. Ma quanto sarebbe costata, questa felicità?
Nei primi decenni del '900, film quali "Metropolis" (1923) e "Modern Times" (1936) suscitano uno scalpore tale da decidere la loro immediata censura. Le pellicole mettevano in evidenza come il mondo industrializzato avesse ridotto le masse lavoratrici alla stregua di strumenti: particolarmente rilevanti, a tal proposito, sono gli incipit dei film, nei quali gli operai vengono presentati come un gregge di pecore, o come null'altro che automi.
Col progresso dell'industria e l'ampliamento dei mercati e della concorrenza, infatti, si fanno strada molte teorie riguardanti l'ottimizzazione della produzione: fra queste, quella "di gran lunga meglio conosciuta [...] fu il cosiddetto movimento per l'organizzazione scientifica del lavoro, bene impersonato da Frederik Taylor".
1 Il Taylorismo (e il Fordismo, sua più completa realizzazione), riducevano l'operaio a compiere una serie di movimenti semplici, ripetitivi, in un intervallo di tempo limitato e ripetuti nell'arco dell'intera giornata: il lavoratore, di fatto, diveniva succube della macchina.
Il tutto in virtù di un sostanziale incremento della produzione, certamente: ma quanti dei beni prodotti erano realmente utili alla popolazione?
Bisogna ricordare, a questo punto, che la Seconda Rivoluzione Industriale assistette anche ad un altro fenomeno: la nascita delle società di massa. In queste società, le merci sono così facilmente accessibili, che il loro acquisto può avvenire anche per motivi che non siano di stretta necessità: i rischi derivanti sono molti, e le conseguenze possono essere anche molto svantaggiose: ad esempio, come scrive J. Braudillard, si può arrivare all' "obsolescenza accelerata dei prodotti e delle macchine", e alla "moltiplicazione delle false innovazioni, senza sensibili benefici per il modo di vivere".2 Non a caso in questo periodo fiorisce la pubblicità, per mezzo della quale si fa avvertire un determinato prodotto come necessario: in questo modo la merce acquistata diviene uno status symbol, non più qualcosa di semplicemente utile.
Alla società di massa, tuttavia, non si rivolgono solamente gli imprenditori, ma anche e soprattutto i politici: in questo periodo, il benessere delle classi medio-basse le rende più desiderose di affacciarsi sul panorama politico; "la moltitudine", dice J. Ortega Gasset, "improvvisamente si è fatta visibile".3 Spesse volte però, purtroppo, dietro l'estensione del diritto di voto, (che effettivamente, in quegli anni, si ritrova molto allargato), si cela un fine ben poco democratico: nella folla si intravede un serbatoio di voti facilmente accessibili, per il semplice fatto che la massa è perlopiu priva di una coscienza politica critica. Un esempio eclatante di questo atteggiamento si ritrova nell'episodio dell'elezione di Napoleone III: questi, mediante la "concessione" del suffragio universale maschile, arrivò ad ottenere una base di voti tale da riuscire a giustificare la sua dittatura.
La Rivoluzione Industriale, quindi, se da un lato permetteva un importante miglioramento dello stile di vita, dall'altro celava al suo interno aspetti che a lungo termine si sarebbero rivelati assolutamente negativi.
Fra coloro che tentarono di accusare i germi che questa Rivoluzione covava spiccano i simbolisti francesi e, in particolar modo, i cosiddetti "poeti maledetti": Baudelaire, Rimbaud e Verlaine. Essi intuirono gli errori di fondo del positivismo, realizzando che una vita resa più semplice dalla tecnologia non era necessariamente più felice, e inoltre attaccarono ferocemente l'omogeneità della società di massa, e il processo di disumanizzazione che si stava attuando; processo, questo, già intuito da J. Stuard Mill, e nel quale "le facoltà umane deperiscono e inaridiscono", si diviene "incapaci di desideri vigorosi e di piaceri naturali, e [...] privi di opinioni e sentimenti autonomi e personali".4 La loro protesta, però, rimase purtroppo inascoltata: era ormai stata avviata la macchina che avrebbe portato alla nascita della società moderna: una società fondata sul consumismo, governata da chi è in grado di manovrare le folle, e nella quale la voce dell'individuo, sebbene giusta, fatica a farsi prestare attenzione.


1 - G. Porter, "La gestione aziendale, in C. Sanger. E. J. Holmyard (AAVV). Storia della tecnologia, il Ventesimo secolo, L'energia e le risorse, Boringhieri
2 - J. Braudillard, "La società dei consumi", Il Mulino
3 - J. Ortega Gasset, "La ribellione delle masse"
4 - J. Stuart Mill, "On liberty"

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