sabato 26 gennaio 2013

La Cissoide di Diocle*

Ogni tanto è bello andare a lezione. A me, ad esempio, capita spesso, soprattutto nelle occasioni in cui ritorno a frequentare dopo una lunga assenza, di innamorarmi perdutamente. Difficile capire per quale ragione accada: non si può certo dire che le mie compagne di corso siano di rara bellezza o che, per qualche motivo, si discostino di molto dalla media delle giovani donne italiane; inoltre non è per nulla romantico lo scenario in cui ha luogo l'innamoramento (le mie lezioni, infatti, sono tenute in uno di quei giganteschi blocchi di cemento costruiti all'epoca del boom delle iscrizioni all'Università); volendo considerare un altro, secondario fattore, si potrebbe anche notare che l'orario è senz'altro il peggiore, per esser vittima di un colpo di fulmine: non si è mai sentito d'una storia d'amore iniziata alle nove del mattino - non nell'ultimo secolo, almeno.
Tuttavia accade: mi innamoro. Tra un'equazione differenziale, la cui unica ed esistente soluzione continua a sfuggirmi, e una cissoide di Diocle, curva piana cuspidata, Cupido si diverte a bersagliare il mio giovane e debole cuore.

Mentre alzo lo sguardo dal blocco
degli appunti,
per dirigerlo verso la lavagna,
una ragazza in terza fila centrale
si alza,
offrendo al mondo ampia panoramica dei suoi
rotondi glutei
e delle sue cosce
snelle
fasciate in leggins neri.

* Questo titolo è semplicemente dovuto.

martedì 22 gennaio 2013

Ingoia

Parliamo di Rivoluzione Civile. Parliamo di Ingroia. Parliamone brevemente, ché non gliene frega niente a nessuno, ma parliamone.

(Segue la presentazione delle tre dramatis personae che danno vita alla nuova, esaltante farsa della non-politica italiana)

Un (importante e bravo) magistrato diventa famoso per un’indagine che ha rilevanza mediatica più che giudiziaria, dunque decide di spendere il piccolo patrimonio di popolarità faticosamente accantonato in quella che oggi viene definita,  caleidoscopicamente, “discesa in politica” o “salita in campo” o “battuta di caccia nella foresta delle elezioni rotanti” – a seconda di quanto si è stronzi o spavaldi.

Schegge impazzite della sinistra-che-odia (e che fu) scorgono la possibilità di tornare in Parlamento, imbracciano una gigantesca gomma da cancellare e senza pensarci due volte passano sopra ad anni di immense rotture di coglioni sull’ideologia, il comunismo, la falce-e-martello e le loro madri, puntando dritti all’agognata meta della riabilitazione politica. E chi può dargli torto?
Una breve pausa pubblicitaria.

INGROIA
(per la Rivoluzione Civile!!!!)

Eccoci di nuovo in studio.
E poi c’è chi li vota, questi. Ci sono gli elettori. Massimo rispetto per loro: votano per una lista che ha, di fatto, l’obiettivo di impedire la formazione di una maggioranza che riesca a governare questo sventurato Paese. Io ho fiducia nel genere umano e dunque credo che costoro se ne rendano conto. Deduco, dunque, che la loro fede nella rivoluzione comunista sia saldissima e li stimo per questo.

Che poi Ingroia l’ha detto: se perde, se non va in Parlamento, lui torna in Guatemala. Cazzo gliene incula? Chissà invece che fine faranno PRC e PDCI. Magari seguiranno la falce e il martello nel grande pozzo dell’oblio.
Ciò che invece di certo non ci abbandonerà mai è quel 4% di italiani disposti a tutto pur di rompere il cazzo.



(Ah, dimenticavo: Di Pietro)

domenica 13 gennaio 2013

Inverno fratto due (sogno di)

Tutto ha avuto inizio di fronte alla foto di una felice famiglia afroamericana. Tre generazioni sorridenti, ritratte nel salotto ben arredato di una casa padronale. Tutti sorridono, anzi ridono davanti all'obiettivo che ha immortalato la loro joie de vivre. Che cazzo avranno da ridere? penso io. I ricchi ridono sempre o, almeno, si preoccupano costantemente di mostrarsi felici. I ricchi, inoltre, non hanno colore.

Esco di casa e decido di andare alla stazione dei treni, a guardare i treni. Come fanno i tossici in Trainspotting. Perché? Che cazzo ne so. Mi va e basta. Non riesco a togliermi dalla mente quell'immagine di felicità borghese, le smorfie ilari, i denti bianchi e scintillanti, gli occhi strizzati; mentre mi sembra di sentire la risata di nonno Terrence  echeggiare nelle strade deserte di questa pigrissima domenica mattina. Ci sono gli alberi, alti, ai margini del lungo viale che mi porterà in stazione.
È autunno: foglie, foglie gialle marciscono sui marciapiedi.

Alla stazione dei treni ci sono i treni. Alcuni passano, altri stanno semplicemente là, stufi di andare su e giù per il Paese, arrugginiscono e si riposano, saltuariamente molestati da qualche writer impertinente. Alla stazione dei treni c'è anche, ovviamente, un Despar. Lì vendono le birre.

“Ehi, amico, ce l'hai un paio di monete? Così evito di rubarla…”
È un tossico, un alcolizzato, quello che voi chiamate barbone. Poco più vecchio di me. Lungo, lercio cappotto; lunghi, lerci capelli. Barba corta, ma lercia.
Occhi scuri. Tipo due buchi neri - attraenti, a modo loro.
“Per la birra? Perché se è per la birra, ti do tutti i soldi che vuoi”
“Grazie. Io mi chiamo Luca”
“Piacere, AlligatoreNinja”
“Va' in mona”
“Come, scusa?”
“Si dice così, da queste parti, non sai cosa vuol dire?”
“Sì, certo che lo so…”
“È un augurio”
Risate. Si chiama Luca e ha praticamente la mia età. Però ha le mani gonfie e nere. Non ho potuto fare a meno di rabbrividire, quando gliene ho stretta una. E non ho potuto fare a meno di vergognarmi come un cane. Come un cane stronzo e di razza e con dei padroni borghesi che si prendono cura di lui, lo lavano e gli tagliano il pelo e lo fanno sfilare a quei terribili concorsi di bellezza per cani che si vedono nei film americani e lui non può non è colpa sua, è pur sempre un cane. La colpa è certamente dei padroni. Sempre.
(Lo stesso discorso vale per Luca e le sue mani sporche.)
“La birra, comunque, è per la mia ragazza. Sta in ospedale, adesso, così mi sono chiesto: cosa porto a una che sta a letto in ospedale? Una birra, ovvio. Per le cicche poi si arrangia lei”
“Giusto”
“Da dove vieni, AlligatoreNinja?”
“Vice City”
Luca prende un cartone di Tavernello e nasconde la birra in una tasca interna del cappotto, con gran disinvoltura, senza smettere di parlare.
“E cosa ci fai qua?”
“Ci studio. Matematica”
“Matematica? Assurdo, assurdo... E cosa ne pensi di Bertrand Russel? Cosa ne pensi, eh? Bertrand Russel mi ha fatto impazzire, mi ha fatto diventare assolutamente pazzo, sono andato ai matti, davvero, per colpa di quel genio di Russel”
Paghiamo. Usciamo dal Despar, rientrando in stazione, dove sciami di uomini e donne e studenti universitari e immigrati e ragazzini limonanti e vecchi bavosi e sbirri e altri uomini e altre donne salgono e scendono dai treni che arrivano in stazione, si fermano, riposano cinque minuti e poi, lentamente, ripartono.
“Io credo che se uno ti fa impazzire, se uno è capace di farti esplodere il cervello semplicemente usando le giuste combinazioni di parole, be’, allora quello è un tizio a cui dovresti essere riconoscente, perché ha fatto qualcosa per te, non so se mi spiego”
“Forse hai ragione. Il lupo, comunque, perde il pelo, ma non il vizio… La birra l’ho rubata lo stesso, alla fine. Del resto questi soldi mi serviranno per l’autobus, mica ci posso andare a piedi, fino all’ospedale”
“Hai fatto bene. Il signor Despar non se ne accorgerà neanche, di questo euro in meno”
Luca ci pensa un attimo, sospeso nell'immobilità. Poi conclude: “Probabilmente no”.

Alla stazione dei treni ci sono i treni. Seduto al primo binario, sorseggio la mia Peroni nazionale guardando un po’ il vuoto e un po’ la ragazza bionda a ore 14. Sta leggendo Davvero, il più bel fumetto italiano attualmente in circolazione. Gira le pagine, mentre un sorriso le sfiora le labbra.
Mi alzo in piedi – grosso giramento di testa – e barcollando mi avvio verso il sottopassaggio che porta agli altri binari. Realizzo che ho in mano la Peroni nazionale numero cinque e che comincio ad essere un po’ sbronzo. Ciononostante approccio la bionda.
“Quello è il secondo numero di Davvero?”
Alza la testa dalle pagine in bianco e nero e, dopo un attimo di spaesamento, mette a fuoco la mia faccia di cazzo e chiede, gentilmente ma non senza un velo d’ironia, se ci conosciamo. Il suo sorriso è perfetto. I suoi occhi, verdissimi. Cerco di articolare una risposta ma non posso farcela; sprofondo in quel mare verde, verde…

Il prato si estende dal limite meridionale del boschetto fino al ruscello che scende da Colle Alto e Lei è distesa su un telo rosso e la sua anima si specchia nel cielo (per descrivere il quale ho cercato a lungo e invano l'aggettivo adeguato). Si tratta, in effetti, di un cielo improbabile. Un cielo ipotetico dell'irrealtà.
Una splendida giornata, in ogni caso: sole, lieve brezza lacustre, uccellini che cinguettano eccetera.

Lei guarda il cielo e il cielo le restituisce lo sguardo.

lunedì 7 gennaio 2013

Una birra

Tornando a casa, questa sera, mi sono accorto quasi per caso di covare un non so quale bisogno, nascosto in non so quale angolo della mia anima. Ci ho riflettuto un poco e sono giunto alla seguente, sorprendente conclusione: in primo luogo, avevo non una, ma ben due necessità distinte; e si trattava di un forte desiderio di dar forma scritta ai miei pensieri, congiunto ad una gran sete di birra. Ho chiesto dunque al mio autista di fermarsi presso il Pizzaro Onto di via Beato Pellegrino, noto rivenditore di ogni sorta di alimenti di bassa qualità e mio riferimento per l'acquisto di alcolici in orario notturno. Il dialogo è stato quello standard:

"Non ho fame, prendo le solite tre birre", e sono sempre due Tuborg e una Peroni nazionale.
"Cinque euro"
"Grazie, buonanotte"
"Ci si vede, buonuomo", strizzata d'occhio e smorfia indecifrabile.

(Il Pizzaro Onto è un eroe: lavora qualcosa come sedici ore al giorno, ogni fottuto giorno dell'anno, sempre da solo. E non si ammala mai).
Il mio autista, nel frattempo, era sgommato via nella notte. In effetti si trattava di un mio amico, più che di un vero e proprio autista: tuttavia non avere la patente mi autorizza a definire "autista" chiunque ne sia provvisto e decida di darmi un passaggio. Questo, almeno, è il mio modo di vedere le cose.
Quattro passi fino a casa, cagatina, tempo di indossare la tuta, riporre una Peroni e una Tuborg in frigo, aprire l'altra ed eccomi qui a scrivere.

Primo Bicchiere
Tutto, ovviamente, è iniziato con l'ultimo film di Tornatore, che dovrebbe intitolarsi La Giusta Offerta e che reputo meno interessante dell'intervista a Tornatore stesso pubblicata oggi da Huffington Post. Un film che certo non si può definire brutto; dichiaratamente baroccheggiante, poggia sui personaggi e la scenografia, eccetera, eccetera. Non succede nulla per circa i tre quarti delle due ore e quattro minuti di agonia a cui ci sottopone un regista che, in ogni caso, cerca di tenere alta la tensione utilizzando però lo stesso meccanismo almeno ottocento volte. Risultato: nessuna tensione, molto fastidio.
Ed è stato con questa amara sensazione di disgusto misto a spaesamento che ho lasciato la sala, impugnando la carcassa della mia Pepsi grande da cinque euro come un trofeo.

Secondo Bicchiere
Cosa volete, c'ho sete.
E poi mi è venuto in mente che Geoffrey Rush, tutto sommato, non mi è neanche piaciuto così tanto. L'ho preferito ne Il Discorso Del Re. Ma anche in quei film di pirati (di cui ho tutti i poster, anche se fingo di non ricordarne i titoli perchè sono troppo mainstream per essere citati). Ad ogni modo 'sto giro il buon vecchio Geoffrey si fa una gran puledra, in quella che alcuni potrebbero definire "la scopata più costosa della storia" (guardate il film per apprezzare la fine battuta - o meglio ancora non fatelo, non ne vale la pena), ed io, che nel pomeriggio mi son guardato Hard Candy, mi ritrovo a pensare che se al posto della gran puledra ci fosse stata #ellenpage me la sarei goduta di più.

E col Pizzaro Onto al posto di Geoffrey Rush?

"Buonasera!"
"Ciao bellezza... Cosa posso fare per te?"
"Non saprei... Fate pizze, qui, per caso?"
"Be', sei gnocca ma non troppo sveglia, eh, bellezza? C'è scritto "PIZZA AL TAGLIO" là in cima, o sbaglio?"
"..."
"Va bon, dai, come la vuoi sta pizza?"
"Non saprei... Facciamo brie, rucola e gamberetti"
"Facciamo invece che ti mangi stocazzo e la facciamo finita?"

Il Pizzaro Onto sa prendersi quello che vuole. Altro che Geoffrey Rush.

(Sempre meglio di Depardieu, in ogni caso. Vedere le foto di lui e Putin è stato come ricevere dodici calci nei coglioni. Ma forse esagero: diciamo che è stato come vedere qualcuno che riceve dodici calci nei coglioni. Ma non Depardieu, qualcun altro. Quel francese di merda se li meriterebbe, dodici calci nei coglioni, ancora di più degli altri francesi. Ma agli altri francesi ci ha già pensato Tom Hooper, scegliendo di far recitare Hugh Jackman in Les Miserables).

Volevo anche parlarvi degli altri film che ho avuto il piacere di vedere durante la giornata, tuttavia è ormai chiaro a tutti che non ho niente di interessante da dire a riguardo, anche se me la cavo piuttosto bene a ricamarci sopra. Parlare del nulla è un talento, dicevano, e diceva una cosa simile anche Jim Sturgess qualche ora fa, adulando l'innamorato, ricco e (a posteriori) ultrainculato Geoffrey. Esatto, c'era pure quello che ha recitato nel film sui Beatles. E questo mi da l'opportunità di sganciarmi dall'argomento cinema, proponendo qui un pezzo orecchiabile che potete ascoltarvi mentre io mi verso il

Terzo Bicchiere
L'ora è tarda e la stanchezza si sta sommando al lieve senso d'ebbrezza che una Tuborg può offrire ad un uomo reduce dall'influenza stagionale e dal cenone di San Silvestro. Conosciamo tutti questa sensazione, che potremmo descrivere come "ovatta nel cervello". Perciò credo sia meglio per tutti se mi scolo l'ultima birra al volo, lasciandovi riflettere su queste parole scritte nel tragitto casa-scuola da un teenager depresso e pirla in un momento di profondo disagio dovuto probabilmente all'imbarazzo causato da prolungate perdite anali:

Sono sbalzi d'umore
Cali di pressione
Le ultime ore
Grida ghiacciate
E facce vuote

Finita la Tuborg. Vado a leggermi Zombi Canto di Natale di Jim McCann e David Baldeon, che non vi consiglio a meno che non abbiate davvero un pessimo gusto in fatto di fumetti.

Post Scriptum: vi ringrazio per avermi aiutato a ripulire questo vomito di parole.